giovedì 2 giugno 2016

I Balcani visti da me - parte 4

Mercoledì 27 aprile

Altra giornata di trasferimento, ma questa volta sono solo due ore ed il viaggio sul bus locale ci porterà nella vicina Mostar.
Abbiamo deciso di fermarci qui anche per la notte per poter dedicare un pò più di tempo a questa cittadina così piccola ma purtroppo così famosa.
A ripensarci.. è stata una delle decisioni migliori prese durante questo viaggio, che ci ha consentito di evitare di fare come la maggior parte dei turisti che si limitano ad arrivare qui in autobus, fare qualche foto al ponte ricostruito e dopo un paio d’ore ritornare nei luoghi di partenza senza aver compreso in pieno l’importanza della città per il popolo Bosniaco.

Lasciamo Sarajevo facendo la classica colazione in stile orientale, baklawa e cappuccino, pensando che la città con le sue viuzze, i suoi bazar, le sue moschee è sicuramente più simile a Istanbul che a Vienna.
Durante i viaggi che faccio ho sempre l’impressione, quando mi allontano da un posto, di lasciare una parte di me e contestualmente di ricevere qualcosa dalle persone incrociate ed incontrate; e la stessa cosa la provavo nel momento in cui salivamo sull’autobus.
Sarajevo in particolare ci ha trasmesso quella forza e la consapevolezza che non si deve mai mollare, cercando di vivere anche nei momenti peggiori.

Le due ore e mezza le abbiamo passate in silenzio, poche parole tra me e D., penso che entrambi dovevamo rielaborare tutto quello fatto finora, riordinare i pensieri nella nostra testa, incamerare nella nostra memoria questi primi giorni di viaggio.
Poi dal finestrino guardiamo la campagna bosniaca, i campi verdi bagnati dalla pioggia, fiumi, dighe, paesini, ponti e venditori di miele fermi a bordo strada.
Notiamo che stiamo andando verso un altro confine perché cambia la birra in vendita nei chioschi.. dalla Jelen si passa alla karlovaçko, la marca croata.

A Mostar ci sistemiamo in una pensione gestita da una simpatica e premurosa coppia, scopriremo più tardi che il padrone di casa era quello che aveva ripreso con la sua videocamera il bombardamento del ponte da parte dei croati.
L’accoglienza è con limonata e lokum… non abbiamo ancora abbandonato l’Oriente.

Quando stiamo per avvicinarci al ponte, facendoci strada tra negozi di souvenir e grupponi in visita, ci ferma un signore parlandoci in italiano.
Ci chiede come mai due giovani italiani siano lì a Mostar e sentendo il nostro viaggio e le sue ragioni inizia a raccontarci un po’ la sua storia.
Si chiama Mustafà, ma per tutti è Mosti.. purtroppo è una di quelle persone che ha vissuto in pieno quei anni e che ha visto la città cambiare più volte; ha anche combattuto ed è finito in Italia con la sua famiglia perché è stato ferito durante la guerra.
Ora è tornato, lasciando i figli a Brescia alla loro vita in Italia, mentre lui ha preferito tornare nella Sua città, anche se non è più la stessa.
I suoi racconti non sono lineari, non sono studiati a tavolino per un pubblico, vanno a getto, a ricordi, ad emozioni.. un po’ come i racconti che mi faceva mia nonna, di come era dura la vita nel post guerra mondiale, ect.

Ci spiega come era la città prima della guerra, con matrimoni misti, le vie della città piene di gente, pulita, felice, attiva, anche alla sera dove la zona del ponte era vissuta da loro, dai Mostarini.. perché l’unica distinzione che c’era era quella.. tra essere Mostarini o no, tra gli abitanti della città e quelli delle montagne.
Di come la Jugoslavia, con tutti i suoi difetti, fosse comunque una delle nazioni in cui si viveva meglio.

Camminando per le vie del centro, tra la spiegazione di cosa fosse una volta un palazzo e la storia del famoso ponte, Mosti continua entrando nel periodo più buio, quello della guerra.
Secondo lui, secondo loro (i mussulmani bosniaci), era già tutto deciso sulla carta, dopo i primi anni di combattimenti, Serbia e Croazia si sono accordate per spartirsi la Bosnia e Mostar sarebbe finita ai Croati.
Infatti di colpo son passati da combattere i Serbi, a doversi difendersi da quelli che prima erano loro alleati.. di colpo erano i Croati a bombardarli.
Ricorda quel periodo con tristezza, apprezzando però lo spirito di collaborazione che era creato, dove ognuno faceva quel che poteva, come le vecchiette che di notte pulivano le strade dalle macerie per poter consentire il passaggio delle auto e dei camion il giorno seguente
Tra le cose che ci dice, ci colpisce la storia del suo primo combattimento, sulle montagne lì vicino, della paura provata e del timore nel momento di dover sparare per la prima volta; situazione opposta ad oggi, dove incrocia e saluta gente che con cui ha combattuto contro in battaglia
(Loro poche armi, croati tante, serbi armi dell’esercito jugoslavo)

Chiediamo la sua opinione sulla situazione attuale che, secondo lui, non è rosea.. perché la città è divisa in due, croati cattolici da una parte, mussulmani dall’altra; che il potere, per entrambe le fazioni, è in mano agli estremisti che con la loro mentalità da “montanari” non ragionano in ottica di città ma per provenienza e che quindi mantengono accesso quel fuoco di rivalità e di sospetto.
Poi il problema principale è il lavoro... l’altissima disoccupazione che porta ad doversi affiliare al potere per poter lavorare e riuscire a fare qualcosa.

Lo salutiamo dandogli una piccola mancia per queste due ore passate insieme; è stata una bella esperienza quella di poter ascoltare chi ha vissuto quei momenti e le sue opinioni ed esperienze.

Il resto della giornata lo passiamo girando da soli; il ponte è stato ricostruito veramente bene e l’utilità che aveva ai tempi dei commerci con i mercati dell’Asia è evidente, visto che consentiva alle carovane di tagliare a metà i Balcani accorciando di parecchio i tempi di percorrenza verso l’Occidente.

Invece il Bazar sulle strade ciotolate è un insieme di paccottiglia scadente
mentre al di fuori del circuito turistico i palazzi bombardati o crivellati di proiettili sono ancora veramente tanti che, tra l’altro, fanno specchio al nuovo Gymnasium ricostruito e portato a nuovo.

Mostar di sera non si può dire che sia una delle capitali della nightlife, ceniamo e poi giriamo per le stradine deserte e ciotolate del centro facendo un po’ di foto al ponte illuminato ed andiamo a riposare.. il prossimo trasferimento ci poterà per la prima volta sul mare.



Giovedì 28 aprile
Finalmente il mare

Senza rendercene conto siamo già al giovedì e lentamente la fine del nostro viaggio si avvicina.. più che dal tempo trascorso lo percepiamo quando arriviamo sul mare ed in generale in Croazia; vedere il mar Adriatico, pensare che a qualche km di distanza passavamo le serate da diciottenni a Riccione e soprattutto incontrare la flotta dei turisti delle crociere ci ha riavvicinato al “nostro” mondo.

Ma andiamo con ordine; la mattina ci svegliamo e siamo ancora a Mostar.. colazione al Bar Calà (ma di Jerry nessuna traccia), saluti alla famiglia che gestisce la pensione ed arriva l’ora di muoverci verso Sud.
Avevamo due opzioni per arrivare a Dubrovnik, prendere il bus di linea delle 7 di mattina od affidarci ad una guida che in auto ci porti fino lì facendo delle soste per strada
Anche se più cara, optiamo per la seconda soluzione ed alla fine siamo stati contenti dato che i posti visitati nella Bosnia meridionale sono stati interessanti.

L’autista/guida è un uomo di 40 anni circa, simpatico e parla pure l’Italiano.. come Mosti, anche lui ha passato 1 anno in Italia per curarsi dalle ferite subite in guerra ed anche lui ha voluto tornare qui, nella sua terra.
Poi durante la giornata entriamo un po’ più in confidenza e con il tempo ci racconta la sua storia e le sue opinioni su quello che è accaduto e su quello che sarà.
Ci spiega che, a suo modo di vedere, la guerra non è stata voluta dal popolo ma imposta dai politici e da autorità esterne.. dice chiaramente che quella non è stata la loro guerra ma una guerra degli altri combattuta sul loro territorio e che, in Europa, quella non è di certo stata la prima guerra e non sarà nemmeno l’ultima.
Anche nelle sue parole leggiamo quel rimpianto di quello che era prima, del convivere tutti insieme in pace e in tranquillità; cosa che ancora oggi non è possibile visto che le divisioni sono ancora forti.. basta pensare a città letteralmente divise in due e ben separate in base alla razza degli abitanti.
Basta pensare che anche le scuole, che magari condividono lo stesso edificio, hanno due programmi didattici e libri d’insegnamento differenti.
Ma bisogna andare avanti, sfruttare le poche risorse che si hanno, come il turismo o l’agricoltura che qui si sta sviluppando velocemente visto che la terra è ricca (dato che non è stata sfruttata per parecchi anni), l’acqua abbonda e si ottengono facilmente melograni, fragole, ciliegie, vino ed olio.

Prima tappa del nostro tour è Blagaj, città che è stata la prima capitale del regno bosniaco e che in passato era esempio di convivenza tra le diverse religioni, tanto che qui c’erano le 3 differenti chiese (moschea, ortodossa e cattolica).
Ora è la meta preferita dagli abitanti di Mostar durante il periodo estivo per potersi rinfrescare alla sorgente del fiume Buna….. effettivamente si sta veramente bene ed il bel monastero derviscio è collocato in una posizione invidiabile di fianco alla grotta.

Dal fresco di Blagaj passiamo all’afa di Pocitelj, un paese fatto tutto in pietra e sassi che domina la vallata del fiume Narenta.
Il villaggio è particolare, con il minareto della moschea recentemente ricostruita che si incastra bene con il paesaggio circostante; dall’alto della fortezza la vista è bellissima e si capisce l’importanza strategica che ha avuto nel corso degli anni.

Torniamo poi al fresco fermandoci alle cascate di Kravice (anche queste molto belle) e pranzando all’aperto, in una locanda, con trota grigliata e vino bianco locale.

Il resto del percorso lo affrontiamo nella repubblica Srpska, in un territorio meno verde, un po’ più roccioso ed aspro; solo nelle vallate vediamo campi di tabacco, paesini e tante chiese ortodosse costruite da poco che servono anche per segnare il territorio, segnalare che qui è Serbia.
Ed anche nell’ultima sosta, a Trebinje, questa cosa si sente e si percepisce.

Entriamo in Croazia, al confine i controlli per la nostra guida sono accurati mentre a noi manco ci guardano in faccia; del resto la Croazia ormai è Europa e notiamo anche che in generale tengono quell’atteggiamento di superiorità verso i loro vicini.
Scollinando vediamo il mare, purtroppo il tempo non è limpidissimo ed anche la vista sulla bellissima Dubrovnik è un po’ offuscata dalla nebbia e le foto non rendono bene.

Quando arriviamo a Ragusa (che a me piace chiamarla così.. perché del resto l’abbiamo costruita noi) è già abbastanza tardi, ci sistemiamo nel nostro appartamento in pieno centro, vicino alla Cattedrale, e usciamo giusto in tempo per fare un aperitivo prima di cena.
Camminiamo per le vie in marmo, guardiamo le mura della fortezza.. non è difficile percepire la bellezza di questa città; peccato che veniamo subito risvegliati quando ci scontriamo con la cattiva usanza di voler spennare il visitatore… uffici di cambio con spread assurdi, valute estere non accettate, birra piccola in un baretto fuori dalle mura a 4 euro.. Questa sensazione non ci impedirà di fare quello che volevamo ma di certo ci lascia un po’ l’amaro in bocca.

Ceniamo con un ottimo fritto misto ma la serata non decollerà mai… molti posti chiusi, l’unico discopub aperto frequentato da 16enni e i locali del centro pieni solo di americani (uomini) ubriachi.
Verso mezzanotte inizia a piovere e questo è il segnale di chiusura di questa giornata ricca ed intensa.. la nostra discesa verso Sud non è ancora completata.

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